venerdì 19 settembre 2008

Esportare conoscenza


Prorestauro Italia, associazione che raggruppa più di trenta aziende italiane della filiera del restauro, ha aperto lo scorso luglio a San Pietroburgo un proprio ufficio operativo. Alle aziende associate spetta il compito impegnativo di restaurare la magnifica reggia di Caterina. Il progetto, oltre a dare lustro alle società del settore, è particolarmente interessante in quanto è uno dei rarissimi casi di internazionalizzazione di una filiera produttiva. Abbiamo incontrato l’architetto Carla Alessandria, vice presidente dell’associazione, che da un anno si divide tra la Russia e Torino, e che alla presenza di autorità russe e italiane ha appena inaugurato l’ufficio di Prorestauro nella città sulla Neva.

Come è nato il progetto che vi ha portato a restaurare edifici storici all’estero?

Prorestauro è nata nel 2007 con la vocazione di portare all’estero la conoscenza italiana del restauro conservativo. Il nostro primo progetto è stato realizzato in Turchia, dove le nostre aziende hanno restaurato la sede estiva dell’ambasciata italiana, un programma portato avanti con il ministero degli Affari Esteri e il contributo di Finmeccanica e Italcementi. In Russia, dopo diversi contatti ed aver partecipato con l’ICE a fiere promozionali, abbiamo avuto la possibilità di dimostrate alle autorità russe l’esperienza e l’avanguardia del know-how delle nostre aziende con un cantiere pilota. Abbiamo terminato quindi a maggio il restauro della Porta di Pietro il Grande. L’accesso alla magnifica Fortezza di Pietro e Paolo, disegnata da Domenico Trezzini e fondata nel 1703. La fortezza fu edificata da Pietro su una piccola isola in mezzo alla Neva. Ora la soprintendenza di San Pietroburgo, consapevole della qualità del nostro lavoro, ci ha assegnato il compito di restaurare l’edificio più importante.

Il fatto che numerosi architetti italiani abbiano lavorato alla corte degli Zar è stato un fattore determinante?

Certamente ci sono grandi affinità d’epoca e di stili tra San Pietroburogo e Torino per esempio, e molti architetti italiani hanno lavorato in Russia, esportando un certo tipo di stile e di gusto. L’accordo è poi il frutto di relazioni che hanno permesso di conoscerci. Dopo i risultati del cantiere pilota presso la porta di Pietro I, abbiamo invitato in Italia il Comitato per il Controllo e la Tutela del Patrimonio Culturale della Città di San Pietroburgo – GHIOP – mostrando loro alcuni lavori importanti sviluppati dalle nostre aziende, tra cui lo splendido restauro della Reggia di Veneria Reale, che essendo opera coeva alla Reggia di Caterina è stato una testimonianza importante per capire la qualità e l’avanguardia del nostro know-how. Dopodiché abbiamo presentato altri importanti cantieri a Venezia e presso gli Uffizi di Firenze.

Quali obiettivi ha il vostro ufficio estero?

L’obiettivo di Prorestauro è di essere presente in modo diretto e incisivo, attraverso azioni specifiche e puntuali di carattere didattico e divulgativo, nonché in modo continuativo presso il mercato russo. La sede direttamente in loco è uno specifico strumento operativo, finalizzato a stabilite un contatto costante con coloro che concorreranno alla realizzazione degli interventi di restauro, recupero e conservazione previsti per il prossimo futuro: organismi istituzionali, professionisti, imprese e operatori. L’obiettivo è garantire alle imprese associate l’opportunità di penetrazione diretta del mercato, con conseguente sviluppo di business e fatturato. La sede è stata aperta con il contributo della Regione Piemonte, e all’inaugurazione ha partecipato anche la presidente Mercedes Bresso.

Quanto durerà il progetto?

A fine ottobre avremo terminato il restauro di una piccola sezione della facciata della Reggia e sottoporremo il nostro operato al GHIOP. Le scadenze che si sono dati gli amministratori della città sono piuttosto strette. Nel 2010 ricorre il trecentenario della costruzione dell’edificio, anche se all’epoca si trattava solo di una casa colonica. In totale sono oltre 22 mila i metri quadri da restaurare, tra materiale lapideo, ligneo e tutti gli stucchi; mentre le condizione atmosferiche permettono di lavorare solo 5 mesi all’anno – fortunatamente la facciata è così ampia che potranno operare numerosi addetti contemporaneamente su diversi livelli. I tempi ristretti inoltre sono un fattore favorevole, poiché sarà necessario un contributo ancora maggiore da parte dei nostri associati. Il progetto prevede inoltre anche un trasferimento della matrice culturale del restauro con corsi di formazione che verranno proposti ai colleghi russi presso la sede della Scuola della Reggia della Venaria.

In che condizioni avete trovato la Reggia?

In passato sono stati utilizzati molti materiali non idonei. Per gli esterni, ad esempio, delle pitture acriliche, coprenti che non lasciano traspirare e ad un certo punto hanno creato delle bolle che si sono aperte. Materiali assolutamente non adatti. La cultura del restauro in questi Paesi è ancora in fase embrionale, si preferisce costruire ex novo piuttosto che intervenire sull’esistente. Il concetto del restauro si fonde con quello dell’artigianato, che però dà un risultato estetico troppo fresco e nuovo.
La diagnostica ci ha permesso di vedere tutte le stratificazioni, tutti gli interventi e gli errori che sono stati fatti in questi anni. Alcuni cambiamenti sono frutto del gusto di una particolare epoca, altri invasivi perché durante il regime sovietico non c’erano a disposizione materiali specifici. Attraverso la diagnostica siamo però riusciti a individuare e a datare tutti questi diversi interventi e a trovare la prima lamina dorata delle facciata e degli stucchi che rende famosa la dimora. Attraverso la Mapei, uno dei nostri associati, stiamo ora affinando alcuni materiali che verranno utilizzati nel restauro della Reggia, e che dovranno essere naturali e compatibili con le condizioni meteorologiche della città.

Quanto vale in termini di fatturato un progetto di simile portata?

In considerazione della maggior operatività sul territorio, attraverso l’attuazione dello sportello, si presume che il cantiere della Reggia di Caterina genererà un volume di affari per le nostre aziende di circa 5/8.000.000 di euro per l’anno 2009 e di circa 10/15.000.000 per l’anno 2010. Il valore del progetto può anche superare i 40 milioni di euro.

Perché il restauro italiano è il migliore?

Il restauro italiano è il più maturo, è una cultura stratificata in molti anni. La caratteristica del restauro italiano è conservare l’esistente trasmettendo un’emozione estetica che comunichi la consapevolezza degli anni. Inoltre abbiamo alcune tra le aziende più all’avanguardia nello studio dei materiali e nella diagnostica, nell’utilizzo di tecnologie innovative, come le scansioni laser. L’esperienza e anche alcuni errori del passato hanno permesso al settore italiano del restauro di essere oggi il numero uno al mondo.

È vero che Putin vi ha fatto avere dei lingotti per le dorature esterne della Reggia?

Sì, Putin tiene molto al rilancio della sua città natale. Ridare l’antico splendore alla facciata della reggia con la foglia d’oro di Rastrelli ha una forte valenza politica. Come dire che la Russia è tornata ad essere quella dei tempi di Caterina. Il problema però è di realizzazione: prima dobbiamo togliere la vernice acrilica che copre il lavoro del maestro italiano.

Il post è stato pubblicato sul numero di settembre di Profili dell'Est (stanislao.vialardi@profiliest.com)

lunedì 1 settembre 2008

Un Patto per competere nel mondo


La globalizzazione è mutata nel corso degli ultimi anni: è un processo in continuo divenire che obbliga le aziende a cambiare e ristrutturarsi incessantemente per restare al passo e non perdere competitività. Lo scenario e le regole sono diversi anche rispetto a pochi mesi fa. La crisi finanziaria internazionale è grave e durerà ancora a lungo. La zampata dell’orso ha esteso i suoi dolorosi effetti nell’economia reale, mettendo le imprese in una situazione critica e delicata, limitandone l’accesso al credito. Le banche ormai sono attentissime a prestare e prestarsi denaro, come ho più volte scritto, la banca va ormai convinta con i numeri e i fatti: è d’obbligo quindi presentarsi con un business plan dettagliato e realistico. I tempi in cui si andava dal direttore di filiale di fiducia a farsi concedere un fido in amicizia sono ricordi passati. Non bisogna però demonizzare gli istituti di credito che tra ristrutturazioni interne e diffidenza diffusa continuano ad avere un ruolo fondamentale per la crescita delle imprese. Anche in periodi così torbidi qualche banca riesce a inventare nuove soluzioni per la propria clientela. Banca Monte Paschi di Siena, una delle più antiche al mondo, propone un servizio nuovo con un certo sapore di tradizione. Il nuovo prodotto si chiama Patto: una consuetudine “storica”, proprio come avveniva molti anni fa, in cui ci si accordava stringendosi la mano e mantenendo la parola data. Patto è un contratto di credito con il quale la banca si impegna a sostenere un piano d’impresa per la durata di 5 anni, deliberando nell’immediato una o più linee di credito a medio e/o a lungo termine. Nella fase di investimento o di ristrutturazione l’azienda ha bisogno di essere affiancata da un partner creditizio affidabile; ne consegue che, risolti i problemi di copertura finanziaria, l’impresa potrà concentrare i propri sforzi esclusivamente nella fase realizzativa dell’investimento a tutto vantaggio dell’efficacia del business plan. Un ulteriore vantaggio per l’impresa è quello di definire fin da subito le tipologie di finanziamento, i relativi importi, durata e condizioni. Ciò consente di fissare il costo del servizio del debito e di predisporre con maggiore esattezza i conti economici prospettici. L’utilizzo di tali linee di credito potrà avvenire al concretizzarsi di determinati eventi di gestione ben individuati nel contratto, inerenti il piano di impresa presentato dall'azienda o riconducibili al rispetto di covenants di tipo quantitativo e di tipo qualitativo/comportamentale. Una volta realizzato uno step del progetto indicato nel piano, viene automaticamente erogata una nuova linea di credito predisposta precedentemente. Per ora si possono finanziare progetti non inferiori ai 300 mila euro, a tasso variabile (Euribor 6 mesi) o a tasso fisso (IRS di periodo) che verranno maggiorati di uno spread in base a rating aziendale, alla durata del finanziamento e alle garanzie prestate. È sufficiente insomma presentare un business plan pluriennale, tracciando un determinato percorso di crescita che implicherà investimenti iniziali e successivamente capitali di funzionamento. MPS poi delibererà la somma massima di rischio che è disponibile ad accordare nel periodo di validità del piano, segmentandola tra varie tipologie di finanziamento sulle quali si potrà concretizzare l'utilizzo. La vera novità è quindi l’approccio della banca verso il cliente, al quale non vende un finanziamento, ma sposa un piano industriale in cui vuole essere partecipe rischiando insieme all’imprenditore. Ovviamente questo prodotto può essere utilizzato anche per progetti di espansione sui mercati internazionali ed è compatibile con gli altri strumenti pubblici a sostegno dell’internazionalizzazione, come l’intervento di Simest a valere sulla legge 100/90 e le garanzie finanziarie di SACE che non hanno alcun costo per l’impresa. MPS è così la prima banca che cerca di instaurare con il proprio cliente un rapporto consulenziale da pari a pari. D’altronde l’impresa ha bisogno della banca per finanziare la propria crescita, ma senza imprese le banche non possono andare lontano.