venerdì 14 novembre 2008

2009: Che fidi faremo?

Il 15 settembre segna uno spartiacque fondamentale nel mondo economico sociale. Quella mattina di settembre le azioni della banca d’affari americana Lehman Brothers crollano trascinandosi come filistei tutti i listini delle borse mondiali. E’ il giorno simbolo del contagio e segna un cambiamento maggiore del crollo avvenuto sette anni prima, l’11/9. Il 15 settembre 2008 il virus della crisi finanziaria è uscito dal recinto americano con più impeto di una mucca pazza e si è infiltrato repentinamente nell’economia reale e in special modo nel mercato del credito delle imprese. Spesso ci siamo dedicati ad analizzare strumenti e strategie di impresa atti a fronteggiare la crisi e migliorare il rapporto con i propri istituti di credito. Eppure oggi dobbiamo renderci conto che tutto è cambiato e nulla è più come prima e che è necessario inventarsi nuovi strumenti per far sì che le imprese, vero motore economico a sostegno di numerosissime famiglie, continuino ad investire per crescere e portare benessere alla società. La malattia che siamo tutti chiamati a debellare è un virus del sistema circolatorio, il credito, che irrora e permette il funzionamento di tutti gli organi ed attori economici.

Sebbene tale crisi sia ancora vista dalle persone non addette ai lavori come una malattia il cui rischio è di altri, come quando l’aids era considerata malattia degli omosessuali, è mio compito dirvi che non è così. Non è possibile arginare nei lazzaretti dei mercati borsistici tale crisi, che oggi sta generando sintomi anche in coloro che si sentivano immuni. Immagino che le imprese che si prepareranno a contrattaccare utilizzeranno questo difficile periodo per riorganizzarsi. E’ prevedibile quindi che nel 2009 alcuni stabilimenti produttivi a basso valore aggiunto in Italia verranno chiusi, sebbene questo porterà a tensioni sociali. Questo sarà un prezzo che tutta la comunità dovrà sostenere e sopportare. Aziende che ritenevano di essere immuni e continuare a produrre in Italia dovranno ricredersi. Nel 2009 mi attendo una grande ristrutturazione organizzativa delle nostre aziende che fungerà da antidoto o vaccino alla lebbra creditizia.

Nel mercato del credito dobbiamo augurarci che si evitino la creazione di emboli. Il sistema circolatorio ha bisogno di essere liquido per irrorare tutti i soggetti, mentre oggi tale sistema è vischioso per due diverse ragioni: da una parte le banche sono poco liquide per la crisi sui mercati finanziari, cioè hanno pochi soldi da impiegare e per di più sono strette, come le imprese, dalle spire di Basilea II, dall’altra esiste ancora un atteggiamento proitalicoclanico da parte di alcune banche, che deve finire. Non si dovranno più discriminare le aziende privilegiando talune perché sono di tizio o di Cai(o) quando sono malati terminali, come lebbrosi che cadono a pezzi. In tali casi esistono strumenti come i fondi di turnaround, che sono poco sviluppati in Italia e che avranno modo di fiorire nel corso dei prossimi anni. Per le altre imprese, invece, sarà necessario l’utilizzo di tutti strumenti possibili. Per andare all’estero Simest sarà necessaria oltre che più competitiva rispetto a qualsiasi finanziamento. La banca d’affari del ministero dello sviluppo economico ha abbassato questo mese i tassi sia della partecipazione sia della remunerazione del fondo di Private Equity. A ben vedere, Simest finanzia un progetto dando come scadenza del rimborso 5-8 anni. Inoltre, le garanzie finanziarie di SACE saranno basilari per avere accesso al credito, sempre se essa non perderà il suo ruolo, anche pubblico, di sviluppo e supporto delle piccole e medie imprese italiane. Dal momento che queste garanzie, gratuite per le aziende, sono nate per aver un ruolo mitigatorio sul razionamento del credito (credit enhancement) e sul pricing. Rapporti più trasparenti e dialoghi senza mezze parole saranno necessari nel prossimo anno per creare un rapporto di maggior fiducia tra imprese e banche, che entrambe dovranno riconoscersi sullo stesso fronte ed aver una maggiore fiducia reciproca. Il sistema pubblico sembra pronto a dare il proprio contributo. Il ministro Scajola ha dotato il Fondo di Garanzia per le PMI di 640 milioni di euro, tutti auspichiamo che non sia solo un placebo.

venerdì 19 settembre 2008

Esportare conoscenza


Prorestauro Italia, associazione che raggruppa più di trenta aziende italiane della filiera del restauro, ha aperto lo scorso luglio a San Pietroburgo un proprio ufficio operativo. Alle aziende associate spetta il compito impegnativo di restaurare la magnifica reggia di Caterina. Il progetto, oltre a dare lustro alle società del settore, è particolarmente interessante in quanto è uno dei rarissimi casi di internazionalizzazione di una filiera produttiva. Abbiamo incontrato l’architetto Carla Alessandria, vice presidente dell’associazione, che da un anno si divide tra la Russia e Torino, e che alla presenza di autorità russe e italiane ha appena inaugurato l’ufficio di Prorestauro nella città sulla Neva.

Come è nato il progetto che vi ha portato a restaurare edifici storici all’estero?

Prorestauro è nata nel 2007 con la vocazione di portare all’estero la conoscenza italiana del restauro conservativo. Il nostro primo progetto è stato realizzato in Turchia, dove le nostre aziende hanno restaurato la sede estiva dell’ambasciata italiana, un programma portato avanti con il ministero degli Affari Esteri e il contributo di Finmeccanica e Italcementi. In Russia, dopo diversi contatti ed aver partecipato con l’ICE a fiere promozionali, abbiamo avuto la possibilità di dimostrate alle autorità russe l’esperienza e l’avanguardia del know-how delle nostre aziende con un cantiere pilota. Abbiamo terminato quindi a maggio il restauro della Porta di Pietro il Grande. L’accesso alla magnifica Fortezza di Pietro e Paolo, disegnata da Domenico Trezzini e fondata nel 1703. La fortezza fu edificata da Pietro su una piccola isola in mezzo alla Neva. Ora la soprintendenza di San Pietroburgo, consapevole della qualità del nostro lavoro, ci ha assegnato il compito di restaurare l’edificio più importante.

Il fatto che numerosi architetti italiani abbiano lavorato alla corte degli Zar è stato un fattore determinante?

Certamente ci sono grandi affinità d’epoca e di stili tra San Pietroburogo e Torino per esempio, e molti architetti italiani hanno lavorato in Russia, esportando un certo tipo di stile e di gusto. L’accordo è poi il frutto di relazioni che hanno permesso di conoscerci. Dopo i risultati del cantiere pilota presso la porta di Pietro I, abbiamo invitato in Italia il Comitato per il Controllo e la Tutela del Patrimonio Culturale della Città di San Pietroburgo – GHIOP – mostrando loro alcuni lavori importanti sviluppati dalle nostre aziende, tra cui lo splendido restauro della Reggia di Veneria Reale, che essendo opera coeva alla Reggia di Caterina è stato una testimonianza importante per capire la qualità e l’avanguardia del nostro know-how. Dopodiché abbiamo presentato altri importanti cantieri a Venezia e presso gli Uffizi di Firenze.

Quali obiettivi ha il vostro ufficio estero?

L’obiettivo di Prorestauro è di essere presente in modo diretto e incisivo, attraverso azioni specifiche e puntuali di carattere didattico e divulgativo, nonché in modo continuativo presso il mercato russo. La sede direttamente in loco è uno specifico strumento operativo, finalizzato a stabilite un contatto costante con coloro che concorreranno alla realizzazione degli interventi di restauro, recupero e conservazione previsti per il prossimo futuro: organismi istituzionali, professionisti, imprese e operatori. L’obiettivo è garantire alle imprese associate l’opportunità di penetrazione diretta del mercato, con conseguente sviluppo di business e fatturato. La sede è stata aperta con il contributo della Regione Piemonte, e all’inaugurazione ha partecipato anche la presidente Mercedes Bresso.

Quanto durerà il progetto?

A fine ottobre avremo terminato il restauro di una piccola sezione della facciata della Reggia e sottoporremo il nostro operato al GHIOP. Le scadenze che si sono dati gli amministratori della città sono piuttosto strette. Nel 2010 ricorre il trecentenario della costruzione dell’edificio, anche se all’epoca si trattava solo di una casa colonica. In totale sono oltre 22 mila i metri quadri da restaurare, tra materiale lapideo, ligneo e tutti gli stucchi; mentre le condizione atmosferiche permettono di lavorare solo 5 mesi all’anno – fortunatamente la facciata è così ampia che potranno operare numerosi addetti contemporaneamente su diversi livelli. I tempi ristretti inoltre sono un fattore favorevole, poiché sarà necessario un contributo ancora maggiore da parte dei nostri associati. Il progetto prevede inoltre anche un trasferimento della matrice culturale del restauro con corsi di formazione che verranno proposti ai colleghi russi presso la sede della Scuola della Reggia della Venaria.

In che condizioni avete trovato la Reggia?

In passato sono stati utilizzati molti materiali non idonei. Per gli esterni, ad esempio, delle pitture acriliche, coprenti che non lasciano traspirare e ad un certo punto hanno creato delle bolle che si sono aperte. Materiali assolutamente non adatti. La cultura del restauro in questi Paesi è ancora in fase embrionale, si preferisce costruire ex novo piuttosto che intervenire sull’esistente. Il concetto del restauro si fonde con quello dell’artigianato, che però dà un risultato estetico troppo fresco e nuovo.
La diagnostica ci ha permesso di vedere tutte le stratificazioni, tutti gli interventi e gli errori che sono stati fatti in questi anni. Alcuni cambiamenti sono frutto del gusto di una particolare epoca, altri invasivi perché durante il regime sovietico non c’erano a disposizione materiali specifici. Attraverso la diagnostica siamo però riusciti a individuare e a datare tutti questi diversi interventi e a trovare la prima lamina dorata delle facciata e degli stucchi che rende famosa la dimora. Attraverso la Mapei, uno dei nostri associati, stiamo ora affinando alcuni materiali che verranno utilizzati nel restauro della Reggia, e che dovranno essere naturali e compatibili con le condizioni meteorologiche della città.

Quanto vale in termini di fatturato un progetto di simile portata?

In considerazione della maggior operatività sul territorio, attraverso l’attuazione dello sportello, si presume che il cantiere della Reggia di Caterina genererà un volume di affari per le nostre aziende di circa 5/8.000.000 di euro per l’anno 2009 e di circa 10/15.000.000 per l’anno 2010. Il valore del progetto può anche superare i 40 milioni di euro.

Perché il restauro italiano è il migliore?

Il restauro italiano è il più maturo, è una cultura stratificata in molti anni. La caratteristica del restauro italiano è conservare l’esistente trasmettendo un’emozione estetica che comunichi la consapevolezza degli anni. Inoltre abbiamo alcune tra le aziende più all’avanguardia nello studio dei materiali e nella diagnostica, nell’utilizzo di tecnologie innovative, come le scansioni laser. L’esperienza e anche alcuni errori del passato hanno permesso al settore italiano del restauro di essere oggi il numero uno al mondo.

È vero che Putin vi ha fatto avere dei lingotti per le dorature esterne della Reggia?

Sì, Putin tiene molto al rilancio della sua città natale. Ridare l’antico splendore alla facciata della reggia con la foglia d’oro di Rastrelli ha una forte valenza politica. Come dire che la Russia è tornata ad essere quella dei tempi di Caterina. Il problema però è di realizzazione: prima dobbiamo togliere la vernice acrilica che copre il lavoro del maestro italiano.

Il post è stato pubblicato sul numero di settembre di Profili dell'Est (stanislao.vialardi@profiliest.com)

lunedì 1 settembre 2008

Un Patto per competere nel mondo


La globalizzazione è mutata nel corso degli ultimi anni: è un processo in continuo divenire che obbliga le aziende a cambiare e ristrutturarsi incessantemente per restare al passo e non perdere competitività. Lo scenario e le regole sono diversi anche rispetto a pochi mesi fa. La crisi finanziaria internazionale è grave e durerà ancora a lungo. La zampata dell’orso ha esteso i suoi dolorosi effetti nell’economia reale, mettendo le imprese in una situazione critica e delicata, limitandone l’accesso al credito. Le banche ormai sono attentissime a prestare e prestarsi denaro, come ho più volte scritto, la banca va ormai convinta con i numeri e i fatti: è d’obbligo quindi presentarsi con un business plan dettagliato e realistico. I tempi in cui si andava dal direttore di filiale di fiducia a farsi concedere un fido in amicizia sono ricordi passati. Non bisogna però demonizzare gli istituti di credito che tra ristrutturazioni interne e diffidenza diffusa continuano ad avere un ruolo fondamentale per la crescita delle imprese. Anche in periodi così torbidi qualche banca riesce a inventare nuove soluzioni per la propria clientela. Banca Monte Paschi di Siena, una delle più antiche al mondo, propone un servizio nuovo con un certo sapore di tradizione. Il nuovo prodotto si chiama Patto: una consuetudine “storica”, proprio come avveniva molti anni fa, in cui ci si accordava stringendosi la mano e mantenendo la parola data. Patto è un contratto di credito con il quale la banca si impegna a sostenere un piano d’impresa per la durata di 5 anni, deliberando nell’immediato una o più linee di credito a medio e/o a lungo termine. Nella fase di investimento o di ristrutturazione l’azienda ha bisogno di essere affiancata da un partner creditizio affidabile; ne consegue che, risolti i problemi di copertura finanziaria, l’impresa potrà concentrare i propri sforzi esclusivamente nella fase realizzativa dell’investimento a tutto vantaggio dell’efficacia del business plan. Un ulteriore vantaggio per l’impresa è quello di definire fin da subito le tipologie di finanziamento, i relativi importi, durata e condizioni. Ciò consente di fissare il costo del servizio del debito e di predisporre con maggiore esattezza i conti economici prospettici. L’utilizzo di tali linee di credito potrà avvenire al concretizzarsi di determinati eventi di gestione ben individuati nel contratto, inerenti il piano di impresa presentato dall'azienda o riconducibili al rispetto di covenants di tipo quantitativo e di tipo qualitativo/comportamentale. Una volta realizzato uno step del progetto indicato nel piano, viene automaticamente erogata una nuova linea di credito predisposta precedentemente. Per ora si possono finanziare progetti non inferiori ai 300 mila euro, a tasso variabile (Euribor 6 mesi) o a tasso fisso (IRS di periodo) che verranno maggiorati di uno spread in base a rating aziendale, alla durata del finanziamento e alle garanzie prestate. È sufficiente insomma presentare un business plan pluriennale, tracciando un determinato percorso di crescita che implicherà investimenti iniziali e successivamente capitali di funzionamento. MPS poi delibererà la somma massima di rischio che è disponibile ad accordare nel periodo di validità del piano, segmentandola tra varie tipologie di finanziamento sulle quali si potrà concretizzare l'utilizzo. La vera novità è quindi l’approccio della banca verso il cliente, al quale non vende un finanziamento, ma sposa un piano industriale in cui vuole essere partecipe rischiando insieme all’imprenditore. Ovviamente questo prodotto può essere utilizzato anche per progetti di espansione sui mercati internazionali ed è compatibile con gli altri strumenti pubblici a sostegno dell’internazionalizzazione, come l’intervento di Simest a valere sulla legge 100/90 e le garanzie finanziarie di SACE che non hanno alcun costo per l’impresa. MPS è così la prima banca che cerca di instaurare con il proprio cliente un rapporto consulenziale da pari a pari. D’altronde l’impresa ha bisogno della banca per finanziare la propria crescita, ma senza imprese le banche non possono andare lontano.

mercoledì 27 agosto 2008

Aziende familiari e internazionalizzazione


Cosa vuol dire oggi essere un'azienda media italiana che desidera crescere nel mercato globale? Immaginiamo una tipica azienda media, la “multinazionale tascabile” nostrana (termine obbrobrioso ma rende comunque l’idea), affermata in Europa e nel proprio settore. I suoi clienti sono case automobilistiche o imprese globali, hanno il globo come mercato di riferimento e spesso sono di dimensioni sproporzionatamente maggiori rispetto ai loro fornitori. La strategia scelta dalla famiglia e, come spesso succede, portata avanti durante il passaggio generazionale è stato quello di rimodernare l'organizzazione interna, assumere manager in alcune aree delicate, e sviluppare un programma di penetrazione nei mercati esteri per poter continuare a fornire i propri clienti e soddisfare le loro nuove esigenze produttive e commerciali. La specializzazione nella produzione ed il controllo di tutta la filiera ha permesso all'azienda di riuscire ad affermarsi in questi anni e competere con imprese molto spesso più grandi e con una più ampia gamma di prodotti, società nate a volte come spin off delle grandi aziende clienti. La famiglia ha deciso di interpellare le stesse imprese globali per conoscere quali fossero aziende del settore di loro pari dimensioni nei diversi mercati di proiezione. E' anche successo che lo stesso cliente avesse introdotto l'azienda in un mercato presentando loro dei possibili partner. La nostra azienda familiare ha deciso così di creare una rete di joint venture produttive nelle aree a più alta crescita nei diversi continenti. L'idea e la strategia adottata mi piacciono ancora oggi, famiglie che si incontrano, conoscono e decidono di creare insieme…. Arrivo però alla questione. Come si può finanziare oggi un progetto già in fieri. Oggi che la crisi finanziaria fa aumentare quotidianamente il costo degli investimenti aziendali, il costo del debito. Oggi che le prospettive del mercato borsistico non sono rosee essendo inoltre i principali attori quotati sui listini di tutto il mondo. E’ necessario utilizzare tutti gli strumenti, senza sprechi. Redigere e monitorare i piani finanziari. Garanzie, chirografari, agevolazioni, prodotti bancari specifici, vanno tutti incastrati in modo tale da ottimizzare il costo degli investimenti e quindi il costo della crescita e di trasformazione da attore locale ad player internazionale. Il dubbio è se oggi un’azienda famigliare simile sarà in grado di realizzare tutto questo da sola o se ad un certo punto sarà necessario l'ingresso di un partner finanziario che possa sposare un piano industriale di medio periodo. Tra qualche anno domande, riflessioni e le sfide "di famiglia" potrebbero tornare. Chi preferisce essere padrone di 100 o titolare del 50% di 300?

giovedì 24 luglio 2008

Perchè crescere?....un cubetto di ghiacccio


In Piemonte è quasi un monopolio. E' presente dappertutto e tutti lo vogliono a fine pasto. Con un cubetto di ghiaccio.
L'amaro San Simone è un'azienda storica torinese, fondata nel 1968, , trae la sua denominazione da una Confraternita di Monaci esistita a Torino nel XVI secolo. Quando ho ospiti a casa faccio trovare sempre una bottiglia per provare un tipico sapore delizioso, tra il dolce e l'amaro, ed un aroma delicato ed inconfondibile. Molti milanesi se ne sono innamorati ed tornano a trovarmi per bere questo elisir, anche siciliani hanno smesso di bere rosolio e fanno mambassa di San simone prima di tornare ai loro lidi. In Piemonte lo si trova dappertutto, nei supermercati, alla metro, nei bar nei ristoranti di classe e nelle bettole....un amaro per tutti con un market share impressionante.

Se provate però a cercarlo altrove, dove altrove sta per non piemonte, perderete tempo, nessuno la mai sentito nominare. L'azienda amaro san simone srl è una piccola azienda familiare che fattura circa 2,5 milioni di euro. Molti si sono chiesti come mai ci troviamo a bere limoncello, bevanda pessima e povera e come mai non vengano sfruttate le potenzialità che questo prodotto ha sia in Italia che all'estero.

Vi racconto due testimonianze, la prima è di un caro amico imprenditore, biellese, trasferitosi in quel di Milano, che innamoratosi dell'azienda incontra i proprietari facendo loro un'offerta per l'acquisto di tutta la società. La risposta fu tale e quale quella fatta un paio di settimane prima alla Bacardi, che non ha bisogno di presentazioni.

"L'azienda non si vende, e non ci interessa vendere altrove, più si diventa grandi maggiori sono i problemi".....

E' un modo di ragionare da imprenditore???? Non lo so, ma sono rimasto maolto affascinato dalla risposta e mi sono chiesto se sia sempre necessario alzare l'asticella per crescere sempre di più, per andare dove poi. Quando una piccola azienda può garantire ai suoi azionisti un certo benessere e godere di un certo tenore di vita è sempre necessario ragionare in termini così assoluti?. La risposta dell'imprenditore ha una valenza no global radicale filo francese che pur non condividendo anche per il lavoro che svolgo ha comunque il mio rispetto.

Ma voi come la pensate? Credete veramente che chi si accontenta gode o che l'imprenditore è miope e solamente un sedicente imprednitore?????

lunedì 21 luglio 2008

limiti familiari alla crescita internazionale

Sono profondamente convinto dell'importanza delle aziende familiari nel nostro paese. Credo inoltre che queste aziende portino con sè nel tempo un serie di valori che le differenzia dalle più anonime public companies.
Tuttavia ho riscontrato alcuni problemi in più che queste aziende hanno nell'affrontare il proprio sviluppo sui mercati esteri.
Lascio stare il discorso sul passaggio generazionale dicendo semplicemente che il primo vero problema è che l'imprenditoprialità non è trasmissibile geneticamente e che l'inserimento delle nuove leve in aziende è un passaggio delicato, ma primo bisogna averne voglia e secondo esserne all'altezza.

Qualche tempo fa ero da un'azienda posseduta da una famiglia e parlando con il loro management ho riscontrato che la familirità dell'impresa blocca la propria crescita. Questa azienda ha già una JV negli USA e da quattro anni sta perdendo quote di mercato per sui prodotti a minor valore aggiunto ma che comunque rappresentano il 30% del fatturato. Ci sono un concorrente in Turchia ed uno in India che pian piano gli sta rubando quote di mercato in europa.

La mia risposta è stata bene andiamoli a comprare con il dollaro così basso, la borsa a terra, i moltiplicatori ridotti al minimo e le diverse agevolazioni che ci sono per questi tipi di attività armiamoci e partiamo.
Ma venni subito bloccato dal direttore generale....guardi nessuno della famiglia intende trasferirsi per 3-4 anni nel centro della Turchia....in un altro blog un imprenditore dice che il problema è non avere persone di fiducia da mandare a gestire iniziative di tale portata...

Credo che tutti noi imprenditori, consulenti ed istituzioni debbano fermarsi un attimo e riflettere...quali saranno le conseguenze di scelte di posizione e non di attacco? Le nuove leve di imprenditori non trovano il coraggio di lasciare gli agi italici per dimostrare a se stessi e a tutti i dipendenti che loro sono il futuro dell'azienda e che vanno in prima linea come veri condottieri?

Non ho risposta ma solo riflessioni in libertà.

S.V.